Valige e bauli, foto ingiallite, libri, Oggetti “che testimoniano il fenomeno migratorio”, e che, come spiega la presidente Alicia Calzolari, nel suo saluto inaugurale, sono “raggruppati in tre ‘momenti’: ‘Origine e vita in Italia’, ‘La partenza’, ‘Arrivo in Uruguay – la nuova vita’”. “L’idea”, continua, “sorge a partire da un’iniziativa della Regione Marche di creare un Museo della Migrazione, per riconoscere il valore storico, sociale e culturale dell’emigrazione. Noi in Uruguay abbiamo voluto, attraverso questa esposizione, valorizzare i materiali raccolti e dare visibilità a questo progetto per coinvolgere più persone e facilitare la raccolta di ancor più materiale”. fazzoletti, strumenti di lavoro, documenti e riconoscimenti civili e militari, e persino utensili di cucina, tra cui uno spettacolare paiolo di rame, e anche una rilucente fisarmonica. Sono alcuni degli oggetti esposti nella mostra “Memento: i ricordi dei nostri marchigiani in Uruguay”, organizzata d a l l ‘ A s s o c i a z i o n e Marchigiani nel Mondo di Montevideo e insediate presso l’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo fino a ieri 27 ottobre.
All’inaugurazione, il 17 ottobre, davanti a un pubblico numeroso, dopo il saluto di Calzolari e quello dell’ambasciatore Massimo A. Leggeri, ha preso la parola l’ambasciatore Alberto Guani, Diretore Generale degli Affari Culturali del Ministero degli Esteri uruguayano. Guani ha manifestato la sua soddisfazione per l’iniziativa ed ha menzionato il quarto incontro mondiale dei Comitati Consultivi degli uruguayani all’estero, avvenuto lo scorso 24 ottobre, confessando che il modello si è “ispirato al modo in cui l’Italia, da moltissimo tempo (la prima conferenza sull’emigrazione si è fatta in Italia nel 1913), dedica tempo e dedicazione, attraverso il governo, all’emigrazione, che è una parte importante di noi”. Poi Anna Claudia Casini, la segretaria dei marchigiani dell’Uruguay, ha ricordato i “29 milioni di contadini pieni di speranza e a volte di illusioni, che hanno fatto (edificato concretamente) molti dei paesi di destinazione”, oltre a costruire “identità, segue Oggetti “che testimoniano il fenomeno migratorio”, e che, come spiega la presidente Alicia Calzolari, nel suo saluto inaugurale, sono “raggruppati in tre ‘momenti’: ‘Origine e vita in Italia’, ‘La partenza’, ‘Arrivo in Uruguay – la nuova vita’”.“L’idea”, continua, “sorge a partire da un’iniziativa della regione Marche di creare un Museo della Migrazione, per riconoscere il valore storico, sociale e culturale dell’emigrazione.
“MEMENTO: I RICORDI DEI NOSTRI MARCHIGIANI IN URUGUAY” Una mostra dei tesori del passato per migliorare il futuro di costruzione nazionale”. E l’emigrazione, ha sottolineato, “non è un’avventura finita”. In uno dei pannelli della mostra, infatti, si menziona il flusso migratorio proveniente dalle Marche negli anni ’90. Sebbene non abbia avuto le caratteristiche massive delle grande ondate di fine ‘800 e dei due dopoguerra, questo movimento, più di carattere culturale e impresariale, non è ancora cessato.
La giovane antropologa e socia dell’associazione Irene Dejuan ha fatto parte attiva della commissione organizzatrice ed ha collaborato all’istallazione della mostra, soprattutto nella scelta e nell’ordine da dare a quanto prestato dai soci. Durante il “vino d’onore” posteriore al taglio del nastro, l’abbiamo incontrata. “La mia parte è stata quella di redigere una scheda per ogni oggetto, per contestualizzarlo affinchè i visitatori capiscano il suo uso e il suo senso”, ha spiegato affabilmente la giovane a Gente d’Italia. “Ora si digitalizzerà tutto”, ha informato, “grazie alla partnership del Museo della Migrazione di Montevideo e al suo direttore, Víctor Cunha, e potrá col tempo far parte del patrimonio di un grande museo della Migrazione digitale, con l’apporto di altre collettività, oltre a quello del Museo della Migrazione che si realizzerà nelle Marche”. Il progetto della Regione, dal canto suo, nasce con l’intenzione di preservare la cultura e la storia, e soprattutto “insiste sul valore umano”, come enfatizzano Anna Claudia Casini, Alicia Calzolari e Pablo Dejuan nella web dell’associazione. “Il museo dev’essere ambientato nel passato ma allo stesso tempo essere contemporaneo. La migrazione è un fenomeno che non è terminato”.
In Regione si nominerà un Comitato Scientifico che selezionerà il materiale ricevuto dalle varie associazioni di marchigiani nel mondo e valuterà i seguenti passi da fare. La prima fase, quella della promozione e sensibilizzazione del progetto, ha dato i suoi frutti. Calzolari risalta il fatto che due soci si sono avvicinati con l’intenzione di collaborate prestando oggetti della famiglia, aumentando così il patrimonio digitale del museo.
Visitando la mostra, operazione quasi impossibile la sera dell’inaugurazione, per via della quantità di gente presente, incontriamo una sorridente Alba Molinari, figlia di Marino, che al suo arrivo da Acquasanta, frazione rurale di Santa Maria Nuova, nell’anconetano, si installò a Juanicó, nei pressi della “Ruta 5” (Canelones), dove mise su una fiorente attività vitivinicola. Accanto a noi c’è una splendente fisarmonica che riluce il nome di “Paolo Soprani”. “Era di mio padre”, dice trionfante la signora Alba. “La suonava a orecchio”. Il pannello esplicativo recita: “La tradizione indica che un pellegrino austriaco che si dirigeva al santuario della Madonna di Loreto si fermó a casa di Antonio Soprani, localizzata ai confini dei territori di Castelfidardo e Recanati. Aveva con sé una rudimentale cassa musicale: la fisarmonica, uno strano oggetto che risveglia la curiosità di Paolo Soprani, il figlio maggiore di Antonio. Il giovane apre lo strumento, ed intuisce immediatamente come costruirne di simili”. Di lì ad aprire una bottega e a vendere fisarmoniche, i l passo fu breve. “Con la fisarmonica, strumento trasportabile, poco costoso e che liberava una musica allegra e vivace, la musica italiana popolare incontrò il mezzo adeguato per crescere e divulgarsi”, appunta Beniamino Bugiolacchi, del Civico Museo Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo.
Aida Galli è nipote di Giovanni, operaio pesarese, e, da parte di madre, di commercianti di Treia (Macerata), pronipote di Reso Galli, torniere di Tolentino e figlia di un meccanico fresatore. Giovanni Galli si stabilì dapprima a La Plata, in Argentina, per costruire la ferrovia, insieme a due fratelli. Aveva diciassette o diciotto anni, e correva l’anno 1920 (anno più, anno meno). Quando finì, venne a Montevideo, per lo stesso motivo. “Mi pare che, sebbene parlasse sempre dell’Italia” ricorda Aida, “si vede che erano molto poveri, e vennero qui scappando dalla povertà”. “A mio nonno piacque molto l’Uruguay, e decisero di stabilirvisi”. Contadini quindi, ma anche falegnami, sarti, calzolai, i marchigiani d’Uruguay. E non mancarono i rivoluzionari, emigrati per ragioni politiche.
Aida e Alba due delle persone e famiglie che hanno messo a disposizione gli oggetti esposti. Oltre a loro, ricordiamo le altre persone che hanno collaborato: Guido Melani, la famiglia Molinari, Anna Claudia e Stefano Casini, Gabriela Scuadroni, Sergio Barchiesi, Teresa Marzialetti, Eva Simonetti, Armando Mari, Josefa Caldas de Sciamanna, Mariella Volppe, César Calzolari e Alba Quondamatteo. Curiosando qua e là, si vedono oggetti emblematici, come una Madonna di Loreto, particolari, come un esemplare di una vecchia edizione dell’ “Artusi”, celebre autore del primo libro di cucina regionale italiana, un bocchino da sigarette del 1940, un mazzo di carte, o un album di foto finemente rilegato del 1930. Ma tutto ha il sapore della vita, dei valori e del calore della famiglia, del ricordo nostalgico della casa lontana. Ma è una nostalgia che non fa male. E non fa male neppure ricordare un passato di sacrifici, di dolore e d’esilio, e anche di laboriosità accoglienza,e generosità, grazie a Dio, perchè la storia, se possibile, ci insegni qualcosa, ci serva per crescere e non si ripeta semplicemente tale e quale.